Di solo silenzio

Forse pioverà. Quelle nubi hanno il temporale scritto in faccia. Son là che mi guardano ostili e prepotenti, scivolano verso di me sull’acqua color piombo. Scommetto che mi spettineranno come le altre volte, quelle stronze. E poi, se ci sono loro, lei non verrà.

Sto sulla duna più alta del giardino botanico litoraneo, io. Ottimo punto di osservazione, non avrei potuto scegliere di meglio: la strada alle mie spalle, il giardino ai miei piedi, la spiaggia ed il mare a qualche centinaio di metri di fronte a me. Non mi sfugge nulla, da qui.

La prima volta che l’ho vista era un sabato di Maggio e la spiaggia era deserta. Il fruscio del pareo che strisciava leggermente sulla sabbia, un libro in una mano ed un asciugamano blu nell’altra. Per il resto, era fatta di solo silenzio. Si è seduta, le gambe incrociate, a fissare il mare, non si è mossa per un tempo interminabile. Mi è parso che si muovesse addirittura meno di me. Da quel giorno si siede ogni mattina nello stesso punto, sempre avvolta dal vento leggero della riva, sempre attenta a non fare rumore. Le prime volte io la guardavo e mi chiedevo il perché di tutto quello scrutare l’orizzonte: io qui ci devo stare per forza, sono nato qui, come potrei mai vivere da un’altra parte? Ma lei cosa cerca in mezzo a tutta quell’acqua, cosa ci vede?

Poi, un pomeriggio di sole dolce, si è voltata per un istante verso di me e mi ha guardato: mi ha fatto scivolare lo sguardo addosso, partendo dalla chioma, giù lungo il tronco squamato e croccante da pino marittimo, fino a toccare la base da dove esco, dove le mie radici scavano assetate nella sabbia tiepida. Un sorriso, forse, poi si è voltata di nuovo verso il mare. E’ stato in quell’attimo che ho capito: quei suoi occhi blu somigliavano al mare che tanto sondavano dalla riva, ma non per il colore, no. Era per il furore e l’inquietudine schiumosa di un movimento perpetuo, magico e tragico insieme.

Ho scosso i rami, fatto cenno agli altri in giardino di non svelare il segreto.

 

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